descrizione della Chiesa e delle sue opere d’arte

 La chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, meglio conosciuta dai rossanesi come la “Chiesa dell’Ospedale”, attualmente è chiusa e in attesa di un restauro che la riporti all’antica bellezza. Di questa chiesa parla il de Rosis nel suo “Cenno Storico della Città di Rossano” del 1838 e racconta che i monaci del Convento di Santa Maria delle Grazie, essendo lontani dalla città, chiesero al vescovo Mario Sasso, arcivescovo di Rossano tra il 1612 e il 1615, di poter costruire una loro sede in paese, con annessa una chiesa, un ospizio e un’infermeria. Il nuovo convento si sarebbe dovuto costruire dove si trovava l’antica fortezza romana che durante la presenza bizantina a Rossano era diventata un presidio fortificato posto a difesa della città. Sotto il vescovo Pietro Antonio Spinelli (28 maggio 1629 – 9 dicembre 1645), fu posta la prima pietra del nuovo edificio grazie ai contributi dello stesso arcivescovo e di tanti rossanesi. Realizzata l’opera, utilizzando anche i resti della fortezza romana, in considerazione delle maggiori comodità che offriva rispetto a Santa Maria delle Grazie, nel 1658 i frati abbandonarono il loro originario convento e si trasferirono nel nuovo che si trovava in paese ma al contempo manteneva una certa distanza dal centro abitato. Da allora tutto il quartiere assunse per i rossanesi la denominazione de “i Cappuccini”. Insomma, riassumendo, la Chiesa dell’Ospedale si porta dietro una storia di quasi cinquecento anni.  Nell’800 i Cappuccini lasciarono la città di Rossano per farvi ritorno nel 1952 su richiesta di mons. Giovanni Rizzo e vennero sistemati nel Convento di San Domenico; comunque anche in questa seconda parte della loro storia rossanese rimase sempre attivo l’antico legame con la Chiesa dell’Ospedale e tutti ricordano la presenza di Padre Vittorino che, per conto della comunità monastica di San Domenico, si dedicava all’assistenza spirituale degli ammalati dell’Ospedale. Poi, con il trasferimento dell’ospedale allo Scalo, la chiesa fu a poco a poco lasciata andare e oggi non versa in buone condizioni. Comunque, entrandovi anche adesso, abituati alle chiese barocche e al loro abbondante uso dei marmi, la prima cosa che colpisce è il massiccio impiego del legno, utilizzato per arredarla e abbellirla; legno scolpito e intagliato, lavorato dagli stessi frati che com’è noto ovunque andassero costituivano delle comunità autosufficienti. Al centro della chiesa, subito di fronte all’ingresso, si nota l’altare maggiore, in legno intagliato e intarsiato. È datato intorno agli inizi del ‘700 e attualmente necessita di un salutare restauro, ma ciò non toglie che se ne possa ammirare la sua antica bellezza.  Sopra l’altare è posizionato un bel crocifisso, della stessa epoca, sempre in legno scolpito e dipinto, alto 160 centimetri, che risalta su un fondo tenebroso fatto di monti e nuvole. E quello che affascina di questo altare oltre alla sua solennità è la cura dei particolari. Su, in alto, c’è un grande medaglione con dentro dipinto un un pellicano con i suoi cuccioli. Il pellicano è il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini. Ai lati del pellicano ci sono due frati con in mano il crocifisso e uno lo punta con l’indice quasi a indicare la strada da seguire. Sull’altare era posizionato un tabernacolo di legno intagliato, intarsiato con rifiniture in avorio e madreperla per fortuna oggi conservato, insieme ad altri beni della chiesa, presso il Museo Diocesano al fine di tenerlo lontano da eventuali malintenzionati. L’opera, con la sua tipologia “a tempio” a pianta centrale e su due piani, rientra nel classico schema compositivo dei tabernacoli realizzati da intagliatori cappuccini che è possibile trovare in quasi tutta la Calabria. La struttura, alta 150 cm, conferisce al ciborio la giusta importanza come luogo che custodisce l’eucarestia e al contempo, grazie alla sua imponenza, appare ben visibile ai fedeli. Su una parete laterale si può ammirare un pulpito del ‘700 in legno splendidamente intagliato e scolpito che contribuisce ad accrescere il senso di solennità che la chiesa trasmette. Ma i gioielli della chiesa non sono terminati. Infatti sulla destra entrando c’è un terzo altare con un’alzata anch’essa in legno intagliato, dipinto, scolpito, marmorizzato, che non si finirebbe mai di ammirare. Così come a sinistra c’è un secondo altare di legno del XVII secolo dipinto, scolpito e marmorizzato dentro il quale a cavallo del ‘900 venne inserito un dipinto in olio su tela di San Giovanni di Dio, fondatore proprio dell’Ordine Ospedaliero, mentre è assorto in preghiera.  Altrettanto bello è il primo altare in legno che si trova sulla sinistra entrando in chiesa, dedicato a Sant’Antonio da Padova che, con il braccio sinistro, regge Gesù mentre nella mano destra porta il classico giglio. Il primo altare sulla destra è invece dedicato a Sant’Angelo d’Acri, perché in un’alzata di legno finemente lavorata posta sull’altare è collocato il dipinto del Santo, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini (1669-1739) che tanto rimase nel convento di Rossano, città nella quale fece alcuni miracoli. Il dipinto contiene la dedica “a divozione de sig.ri Interzati, 1862”. E poi non si può non accennare anche all’altare collocato nella seconda piccola navata che si apre sulla sinistra. Oppure all’altare di Santa Maria delle Grazie con in bellavista lo stemma col monogramma mariano e l’immagine della Madonna posta in un medaglione di marmo posizionato in alto. Insomma, non si finirebbe mai di parlare di questo piccolo scrigno cittadino ricco di storia, di spiritualità e di arte.