LA DISFATTA. IL CROLLO DEI BORBONE IN CALABRIA

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dall’introduzione del prof. Carmine Pinto –    In Calabria iniziò il crollo del Regno delle Due Sicilie. E per i calabresi unitari fu considerato uno straordinario titolo di merito. Basta percorrere i luoghi dell’estate del 1860, quelli della vittoriosa marcia del generale Garibaldi. La memoria delle rivoluzioni ottocentesche e la partecipazione da protagonista alla rivoluzione nazionale diventarono subito un elemento identitario importante. A Soveria Mannelli, piccolo centro di quello che all’epoca era il distretto di Nicastro, una ventina di anni dopo la campagna, fu innalzato un obelisco su dei gradoni di marmo. Si può vedere ancora oggi, restaurato. Sui quattro lati della colonna sono incise le tappe della marcia garibaldina, oramai entrate nell’epopea risorgimentale: Marsala, Calatafini, Palermo, Volturno.              L’obelisco fu posto nell’area dove il generale aveva conosciuto il suo massimo trionfo. Non a caso, sul frontale, fu inciso il telegramma che annunciava la resa delle truppe borboniche comandate dal generale Giuseppe Ghio. Il generale scriveva “Dite al mondo che alla testa dei miei bravi calabresi ho disarmato dodicimila soldati borbonici al comando del generale Ghio”. Il messaggio fece il giro del mondo. Solo una settimana Garibaldi era Napoli, mentre il re Francesco II cercava disperatamente di mettere insieme il suo esercito sul Volturno.             Il collasso del dispositivo militare borbonico e la rivoluzione in Calabria si determinarono nel brevissimo arco di due settimane. Il libro di Martino Rizzo racconta ed analizza questa intensa fase della spedizione garibaldina, utilizzando memorie, documenti, materiali di tutti i protagonisti e delle diverse prospettive della crisi calabrese. Una rapida campagna che si concluse con la resa di fine agosto. Proprio le parole di quel telegramma, a parte la retorica da bollettino napoleonico, riferendosi ai bravi calabresi, finiscono per sintetizzare il senso di quei giorni e delle fasi che li precedettero. Nell’agosto del 1860 giunsero a sintesi, intrecciandosi, la rivoluzione nazionale italiana e l’antico conflitto civile meridionale. La rivolta iniziata in Calabria (e nelle province interne della Basilicata e della Campania) era la tappa finale di uno scontro che per oltre mezzo secolo aveva coinvolto l’antico regno. Le sue radici erano nel 1799. Quell’anno, nelle province napoletane, si combatté la più feroce guerra civile della storia risorgimentale. La Calabria ne fu coinvolta drammaticamente. Il risultato fu un processo di politicizzazione e mobilitazione sociale mai visti prima. Da quel momento nel regno si misurarono progetti ideologici, organizzazioni politiche, disegni di sovranità alternativa che frammentarono lo stato meridionale e la società.             Il Decennio francese rappresentò una frattura decisiva. I Borbone organizzarono una resistenza armata che assunse largamente i caratteri del brigantaggio, sostenuti dalle forze alleate e soprattutto dalla politica inglese. Larga parte dei gruppi politici e militari meridionali si schierò però con la politica napoleonica. La monarchia di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat iniziò il maggior processo di trasformazione politica e sociale dell’antico stato, con la fine del feudalesimo, la modernizzazione amministrativa, la partecipazione alle guerre dell’Impero. Ancora una volta la Calabria fu teatro di un lungo conflitto civile, che contrappose al brigantaggio filo borbonico o criminale, le forze politiche e paramilitari locali, accentuando i processi di politicizzazione. Anche dopo la Restaurazione rivoluzione e controrivoluzione si scontrarono, senza una mediazione tra la monarchia borbonica e l’opposizione politica. Nel 1848 la rivoluzione costituzionale, insieme alla rivolta autonomista siciliana, costrinsero il re Ferdinando II a concedere lo statuto. Pure questo tentativo di negoziazione si concluse con un conflitto armato a Napoli e nelle province calabresi, con la guerra in Sicilia, infine il ritiro della Costituzione. La repressione del movimento liberale, a partire dal 1849 accompagnò l’ultimo tentativo di costituzionalizzazione delle Due Sicilie e la sua frammentazione finale. Il borbonismo politico si strinse intorno al re, a difesa dell’assolutismo e della sua identificazione con l’esistenza stessa del regno. Liberali, radicali, repubblicani delle province napoletane, insieme ai gruppi politici più rilevanti della Sicilia, si integrarono definitivamente nel movimento unitario nazionale e nelle sue correnti. Oramai la nazione italiana, per questi, era alternativa alla sopravvivenza del regno meridionale. Nel 1859 la guerra di Cavour determinò la trasformazione degli equilibri politici nella penisola. La sconfitta degli Asburgo produsse le condizioni per portare nel Mezzogiorno la rivoluzione italiana. La spedizione e la vittoria garibaldina in Sicilia mostrarono la radicale crisi di legittimità della monarchia borbonica, le conseguenze dell’antico conflitto civile, la debolezza politica e personale del giovane re Francesco II. Martino Rizzo prende le mosse proprio dalla conclusione della campagna siciliana. Per gli unitari, il completamento dell’unificazione passava per le province meridionali, per i borbonici la sopravvivenza si giocava nel Mezzogiorno. La difesa o la conquista delle Calabrie erano decisive. Come si legge dai documenti e dalle lettere introdotte nelle prime pagine del volume, come la corrispondenza tra il comandante del corpo borbonico Giovan Battista Vial e il brigadiere Bartolo Marra, gli uomini di Francesco II non avevano fiducia nelle prospettive del regno. Una differenza irrecuperabile rispetto ai volontari garibaldini e ai rivoluzionari meridionali, convinti di partecipare a un momento irripetibile, come cofondatori di una grande nazione di dimensioni europee. Nella ricostruzione di Rizzo, le lettere, i resoconti, le riunioni promosse dai quadri unitari calabresi testimoniano anche le loro difficoltà operative e la memoria di decenni di sconfitte. Soprattutto però confermano la forza di un progetto nazionalista di cui si sentivano protagonisti, oltre che di una consolidata pratica politica fatta di cospirazioni, rivolte, esili, carceri che emergono nelle brevi note che l’autore fa di ogni attore in campo, anche dei meno importanti e conosciuti. L’inizio delle operazioni, nel mese di agosto, fu confuso. Sia per i volontari, che tentarono un primo ma disordinato sbarco, sia per i borbonici che non riuscirono a fermarli. Se i primi si limitarono ad azioni di disturbo, per le tensioni personali tra leader locali ed ufficiali garibaldini, i secondi cercarono di tranquillizzare il re sulla tenuta delle province, sottovalutando o negando il proprio isolamento. In realtà, si preparava una grande insurrezione, vincolata all’arrivo del generale e del grosso dell’Esercito meridionale garibaldino. La presenza dei capi sul campo era decisiva. Il ministro della guerra napoletano, Giuseppe Pianell, uno dei pochi militari rispettati, annunciò più volte l’arrivo in Calabria, ma in realtà non lasciò mai la capitale. Invece lo sbarco di Garibaldi cambiò immediatamente i rapporti forza, galvanizzando i rivoltosi calabresi e i volontari. Rizzo ricostruisce dettagliatamente le operazioni militari a Reggio e la crisi di comando della marina borbonica. Nei giorni successivi questa disparità di leadership e di motivazione emerse definitivamente. Mentre Garibaldi, come i suoi generali e i capi calabresi facevano a gara per guidare le truppe e conquistarsi un palcoscenico, Pianell e il comandante borbonico sul terreno Vial non parteciparono neppure alle operazioni. Il divario politico, militare ed emozionale crebbe immediatamente. Mentre le province furono teatro della rivoluzione disciplinata meridionale, i borbonici persero la testa. Le brigate napoletane si arresero uno dopo l’altra, Garibaldi continuò la sua marcia trionfalmente, accolto ovunque da una grande mobilitazione. I dirigenti unitari calabresi, guidati da notabili influenti, spesso molto radicati e potenti sui territori, organizzarono un cambio di regime che mostrò la forza e la pratica accumulata in decenni di conflitto civile. Si impossessarono senza colpo ferire di comuni e province, organizzando formazioni di volontari e governi provvisori. Si giunse così alla conclusione della campagna. La combinazione tra il carisma di Garibaldi e la forza dell’insurrezione sgretolò gli ultimi corpi borbonici. Con la resa di Ghio, che Rizzo ricostruisce nei particolari, si giunse al collasso finale per gli uomini di Francesco II. La strada per Napoli era libera. La campagna calabrese aveva iniziato quindi a risolvere questo incontro tra il conflitto civile meridionale e la rivoluzione nazionale italiana, favorendo il successo unitario. Francesco II lasciò la capitale delle Due Sicilie. La vittoria garibaldina sul Volturno, il plebiscito, l’arrivo di Vittorio Emanuele II, sembrarono consentire una transizione rapida al nuovo stato. La realtà fu diversa. Nelle province napoletane continuò un lungo e sanguinoso conflitto, che non ebbe analogie in nessuno degli altri ex stati italiani, neppure in Sicilia. Fu la guerra per il Mezzogiorno, iniziata proprio con la campagna calabrese di Garibaldi, che chiuse il lungo conflitto interno al regno. Negli anni successivi il nuovo stato italiano si scontrò con la componente borbonico-legittimista delle province napoletane e la sua componente militare-criminale, il brigantaggio. Anche in quel caso, per il movimento nazionale, la vittoria fu completa. Proprio la guerra in Calabria ne aveva anticipato l’esito. L’adesione massiccia dei più rilevanti gruppi politici locali al progetto italiano, unendosi alla forza del movimento risorgimentale, aveva mostrato un cambiamento così profondo delle appartenenze politico-ideologiche e dei rapporti di forza, da rendere irreversibile l’unificazione anche nel Mezzogiorno.